Non parliamo più di una novità o di una rivoluzione ma di uno strumento ormai entrato nell’uso della vita quotidiana di chiunque: l’intelligenza artificiale sta cambiando e cambierà già nel prossimo futuro le nostre vite. Non solo, gli stessi software AI in circolazione cambiano ed evolvono, migliorando di giorno in giorno la loro potenza di calcolo e le loro prestazioni, sotto la spinta dell’ormai altissima competizione fra i produttori che cercano di surclassare i competitor e prendersi una fetta di quello che sarà uno dei mercati più vivi dei prossimi anni.
Non è un segreto per nessuno, già dal 30 novembre 2022, quando Open AI lanciò ChatGPT, ci siamo trovati di fronte a una rivoluzione che tenderà, secondo molti, a far sì che l’intelligenza naturale verrà prima coadiuvata e poi soppiantata dall’intelligenza artificiale.
PUÒ L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SUPERARE QUELLA NATURALE?
Prendiamo in esame una delle ultime dichiarazioni di Elon Musk. Il leader di Tesla e Space X ha recentemente dichiarato come l’intelligenza naturale verrà soppiantata dall’intelligenza artificiale già a partire dal 2025: una sentenza inesorabile. Ma potrà mai un software, per quanto potente superare davvero l’ingegno dell’uomo?
Consideriamo, innanzitutto, il concetto stesso di “intelligenza”. Se provassimo a dare una definizione di intelligenza ci ritroveremmo ad avere a che fare con una miriade di concetti scientifici, astratti o anche morali. Insomma, il termine ha delle sfumature di senso che si prestano a interpretazione diverse a seconda del campo di studio preso in esame.
Può essere vera una definizione di intelligenza che rispecchi la capacità di un individuo di risolvere equazioni o calcoli complessi. Come sarà ugualmente vera quella di Oxford Languages (cioè, la prima definizione che troverete cercando fra i risultati di Google), ovvero quella di saper attribuire un significato pratico ai vari momenti dell’esperienza. O ancora, la capacità di adattamento rispetto a un dato contesto socio-economico, culturale o anche ambientale.
Abbiamo anche provato a quantificarla grazie al QI, per quanto possa essere utile dare un punteggio ai moti neuronali di un soggetto e di proiettarli in una variabile gaussiana. O forse sarebbe meglio prendere in esame la teoria di Howard Gardner delle intelligenze multiple, in cui non esiste un solo valore numerico per parametrizzare l’intelligenza umana, ma che questa potesse essere divisa in sette tipi differenti di intelligenza (logico-matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestetica, interpersonale e intrapersonale).
Insomma, già a partire dal concetto stesso di intelligenza si creerebbe un po’ di confusione. Non considerando, inoltre, il significato meno “logico” del termine, quello legato alle sensazioni, ai sensi e persino alle emozioni di un individuo. Possono questi ulteriori aspetti non far parte del concetto stesso di intelligenza?
L’INTELLIGENZA NATURALE E I SUOI IMPULSI
Dovremo tenere contro anche degli impulsi che vengono dai moti interiori del nostro essere, che più di ogni altra cosa ci guidano e, in misura differente a seconda dei casi, muovono il mondo stesso. Tenete a mente una cosa: è stato il nostro impulso primario, quello della sopravvivenza, che ha permesso l’evoluzione e la proliferazione della razza umana. Potremo quindi concludere che l’intelligenza non è altro che uno strumento in dote a tutti gli esseri viventi che permette un adattamento e un’evoluzione basato sui bisogni essenziali interiori di ogni essere e che si tramuta in azioni, movimenti, pratiche, processi cognitivi e non che permettono agli stessi esseri di sopravvivere alla scure della selezione naturale darwiniana.
Sì, ma adesso tutto questo cosa c’entra con l’intelligenza artificiale? Ebbene, a un software, cioè una macchina, seppur retta da algoritmi e calcoli infallibili (creati comunque da un essere umano), che mira a copiare alla perfezione persino i sentimenti di noi tutti manca proprio questo: un software non ha uno stimolo di sopravvivenza.
Non ha dei moti interiori che gli permettono di diventare qualcosa di diverso da ciò che è. Di evolvere e superare la selezione naturale. Certo, può essere allenata e migliorare nel linguaggio e nelle risposte alle domande degli utenti in maniera sempre più efficace, simulare sentimenti, creare foto od opere d’arte, ma non creerà niente di tutto questo da solo, in completa autonomia. Né ha la capacità di creare qualcosa traendo spunto dalle proprie emozioni, dalle proprie ideologie; persino il non saper provare dolore o sofferenza è un malus rispetto all’umano, considerando che è anche e soprattutto dalle avversità che noi traiamo la forza motrice che spinge a creare, a innovarci e a ricrearci.
Quindi, no, sicuramente non assisteremo alla rivoluzione delle macchine in stile Matrix. Un chatbot non può farlo perché, semplicemente, una macchina non ha gli stimoli che muovono l’umanità stessa. Paradossalmente, dunque, non ha l’intelligenza per farlo. L’errore di fondo è probabilmente quello nostro: ovvero di personificare e umanizzare un sistema che non ha nulla per essere definito tale.
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE AL SERVIZIO DI QUELLA NATURALE
È dunque lecito pensare che l’intelligenza artificiale non potrà mai del tutto soppiantare l’intelligenza naturale, in quanto è quest’ultima che detta le regole affinché la propria possa non solo svolgere determinate mansioni, ma persino continuare a esistere. Prendete per il momento l’AI non come un potenziale Ultron che, nel Marvel Cinematic Universe, si ribella a Tony Stark cercando di eliminare l’umanità, bensì come a un più classico Alfred al servizio di Bruce Wayne, in grado di aiutarci a svolgere determinate mansioni, farci risparmiare tempo e migliorare la nostra efficacia.
Tutto ciò che di male può venire dall’AI, infatti, può al massimo risiedere nelle ideologie malvagie e perverse degli esseri umani che la utilizzano. Quello è un rischio ben più reale, per il quale necessiteremo di formazione, training e, più in generale, di ore di educazione civica nell’utilizzo dell’Intelligenza artificiale.